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Mons. Marco Antonio Lippolis
S.E. Mons. Marco Antonio Lippolis Vescovo di Larino e di Ugento

Il 22 Dicembre 2007 ricorreva il 65° anniversario della morte del Vescovo, nostro compaesano, mons. Marco Antonio Lippolis.
Pochi alberobellesi viventi lo ricordano, salvo alcuni, ora ultra ottantenni, che hanno avuto il privilegio di frequentarlo, a casa sua, nell’ultimo decennio della sua vita, dove, per gravi motivi di salute, si era ritirato. Si reggeva a stento sulle gambe e la retinopatia diabetica gli aveva ridotto la vista, fino alla cecità completa degli ultimi due anni della sua esistenza. Sofferente, non ha mai smesso, fino all’ultimo suo giorno di vita terrena, di celebrare ogni mattina la Santa Messa all’altare che si era fatto approntare nella sua stanza.
Abitava al primo piano del Palazzo avito, sito nell’attuale Piazza A. Curri, al n° 26, convivente con il fratello Giuseppe, sposato con la signora Emira, ed i loro otto figli, Angelina, Giovanni, Sebastiano, Teresa, Maria, Antonio, Domenica e Caterina, che amorevolmente lo accudivano, lo curavano e lo circondavano di tutto l’affetto che don Marco, per la sua bontà ed amore per il prossimo, meritava. Il nipote Sebastiano (1900-1979) lo seguì nella vita sacerdotale ed esercitò il suo ministero nella nostra Parrocchia dei SS. Medici.
È stato nella sua casa, alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, che, da ragazzo, ho avuto l’onore e la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne la generosità. Ero aspirante dell’Azione Cattolica, allora curata dal sac. don Giambattista Tinelli (1911-1983), ed era a questi che mons. Lippolis si rivolgeva perché gli segnalasse qualche bravo giovane dell’associazione, “bisognoso”, che fosse disposto, la mattina presto, a servirgli la Messa. Il sacerdote gli propose il mio nome e quello del mio coetaneo e condiscepolo Gaetano De Palma. Fu così che per un certo periodo, alternandomi con l’amico Gaetano, la mattina, prima di recarmi a scuola, servivo la messa al Vescovo, che mi ricompensava con una lira alla volta, somma a quel tempo spropositata per quel piccolo servizio, ma che consentiva a mia madre, vedova con quattro figli tutti minorenni, di acquistare un chilogrammo di pane o di riso o di pasta e due cucchiai di conserva di pomodoro per il sugo.
Ricordo che alla celebrazione, tutte le mattine, assistevano donna Letizia Sisto e le sorelle donna Annina e donna Rita, donna Pamela Nardone con la figlia Maria, le sorelle Jolanda e Maria Bernardi, la signorina Maria Nardelli ed altre signore appartenenti all’associazione di beneficenza “Opera Pia San Vincenzo de Paoli”.
S.E. mons. Marco Antonio Lippolis era nato ad Alberobello il 19 Giugno 1865, figlio degli agricoltori possidenti Giovanni e Angela D’Errico, i quali, com’era nella tradizione locale, desideravano che figli seguissero le loro orme, continuando ad amministrare e coltivare i terreni di appartenenza. Ma i tre zii paterni, non coniugati, Giuseppe, Maria e Carolina, volevano che Marco Antonio abbracciasse il sacerdozio, professione allora molto onorata e stimata, e si impegnavano a far fronte alle relative spese occorrenti.
Convinto anche dal suo padrino di cresima, l’alberobellese mons. Domenico Morea, che era Rettore del Seminario di Conversano, frequentò quegli studi fino all’ordinazione sacerdotale. Fu consacrato in Bari, nel 1888, dall’Arcivescovo Ernesto Gazzella.
Trasferitesi a Roma, nel 1890, si laureò in Teologia e, al suo rientro gli fu assegnato quell’insegnamento nel seminario di Conversano, dove aveva studiato; non accettò e scelse l’incarico di Pro-Parroco di Alberobello, che mantenne con diligenza, entusiasmo e dedizione totale per quindici anni fino al 1905, quando fu nominato Arciprete-Curato di Conversano, dove pure svolse il suo ministero con passione e operosità acquisendo la stima e l’affetto di tutti i parrocchiani.
Nell’Ottobre del 1914 si ritirò nella badia dell’Ordine religioso dei Trappisti presso le catacombe di S. Callista a Roma, dove si proponeva di terminare i suoi giorni. Il 1 Giugno del 1915, invece, rinunciò a questa sua aspirazione costretto dalla sua elezione a Vescovo di Larino, voluta da Sua Eminenza il Cardinale Gennari.
Il 29 dello stesso mese di Giugno, nel Duomo di Conversano, fu consacrato dall’ordinario diocesano mons. Antonio Lamberti, coadiuvato da mons. Rocco Caliandro, Vescovo di Termoli e amministratore apostolico della diocesi di Larino, e da mons. Agostino Laera, Vescovo di Castellaneta.
Raggiunse Larino il 27 Settembre successivo e vi restò circa nove anni.
Purtroppo il clima rigido di quella città, dannoso al suo artritismo, lo costrinse a chiedere di essere destinato in una sede più opportuna per la sua salute e, il 15 Dicembre del 1923, ebbe il trasferimento alla diocesi di Ugento, che raggiunse il 30 Maggio del 1924.
Ma i suoi malanni invece di ridursi si aggravavano, riducendo le possibilità di occuparsi del suo ministero come la sua volontà desiderava e per questo chiese alla Santa Sede l’esonero dall’Episcopato; la sua istanza fu accettata e gli fu concesso il titolo onorifico di Vescovo di Dionisiade.
Nel Giugno 1933, prese congedo dal clero e dal popolo indirizzando loro una emozionata lettera dal titolo “L’addio supremo” e trovò rifugio nel Sacro Eremo Camaldolese, seguito dal duraturo ricordo e dalla perpetua gratitudine dei suoi amati diocesani, per concretizzare la sua agognata aspirazione di isolamento, contemplazione e preghiera.
Anche questa fredda dimora, a 1.110 mt di altitudine, sui monti appenninici innevati per la maggior parte dell’anno, unitamente al duro e rigoroso regolamento monastico, alle privazioni di ogni forma e alla scarsità di cure e conforti, aggravarono ulteriormente il suo fisico, tale da renderlo infermo in modo permanente.
Questo costrinse il Padre Priore dell’Eremo a chiedere ai familiari di rilevarlo, in considerazione che il suo stato di salute non gli permetteva di sopportare la regola e il clima.
Nel mese di Ottobre del 1933, ritornò ad Alberobello, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, con i familiari, sopportando con cristiana accettazione i terribili dolori che i suoi mali gli creavano, fino al 22 Dicembre 1942, giorno della sua dipartita.
Agli inizi dell’anno 2000, ad imperituro ricordo di questo suo illustre figlio, gli alberobellesi hanno murato una lapide sulla facciata della casa dove, mons. Marco Antonio Lippolis trascorse i suoi ultimi anni.
Il nostro concittadino, attuale Arcivescovo Metropolita di Lecce, così ha scritto di lui: ….Pensare che la Diocesi di Conversano ha dato due vescovi santi, mons. Di Donna e mons. Lippolis, mio predecessore a Larino e poi Vescovo di Ugento, è per me monito costante a camminare sulla via della Santità, per divenire, come ogn/’ Vescovo, padre e maestro di Santità.
Prof. GINO ANGIULLI
Articolo tratto dalla Strenna di Santa Lucia 2007

Cenni storici

Il trullo del Vescovo

Gli eventi storici  di Alberobello risalgono alla seconda metà del XVI secolo, quando feudo, fu donato dal re di Napoli, Ferrante, ai Conti Acquaviva, molto probabilmente per le vittorie riportate nelle crociate.

Le prime notizie documentate dell’esistenza del feudo compaiono in alcuni diplomi di donazione  del 1272, nei quali si legge  la denominazione  “SELVA”. Infatti, il Conte Andrea Acquaviva chiamò il feudo “ SYLVA AUT NEMUS ARBORIS BELLI “.

Il conte richiamò, dai villaggi vicini, dei contadini affinché curassero quei terreni, autorizzandoli, ad erigere dei rifugi a secco che potessero essere diruti in caso di ispezione regia  e, passato il pericolo, ripristinati. Ciò perchè la nascita di un nuovo agglomerato urbano, esigeva  il pagamento del tributo, “ PRAMMATICA DE BARONIBUS”, alla corte di Spagna.

Nel 1626 la Selva passò sotto il dominio del conte Gian Girolamo II Acquaviva  detto:

“ Il Guercio di Puglia”, a causa di un difetto  visivo. Costui curò molto il paese, anche se non fu    molto amato perché crudele. Fece erigere, una beccheria, una taverna ed una piccola cappella dedicata ai SS. Medici Cosma e Damiano, diventati poi Patroni di Alberobello e che oggi come allora, si venerano il 27 di settembre,  con immensa partecipazione di devoti.  I Selvesi,  tuttavia, erano molto stanchi dei soprusi perpetrati loro dai vari conti succedutisi  fino al 1797, anno in cui   giunse a Taranto  il re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone. Si narra che approfittando della venuta del Sovrano, una delegazione del villaggio si recò da lui per  chiedere la liberazione della Selva dal dominio feudale. Il re  promise loro che avrebbe provveduto in tal senso con l’emanazione di un editto che giunse subito dopo : il 27 maggio 1797.

Per festeggiare l’avvenimento, fu posta la  pietra  della prima casa eretta  con calce e malta, di fronte al palazzo dei conti Acquaviva. Essa fu  denominata “Casa d’Amore”, dal nome del proprietario, e sulla porta fu incisa la seguente frase : “ Ex autoritate regia, hoc primum erectum  A.D. 1797”.

I Rioni : “ Monti ed Aia Piccola”, sono monumento nazionale sin dal 1910. L’ultimo prestigioso riconoscimento alla “Città dei Trulli” risale al 5 dicembre 1996 data nella quale la Conferenza intergovernativa, riunita a Merida, in Messico, nell’ambito della 20^ Sessione del Comitato Mondiale UNESCO, ha dichiarato i trulli di Alberobello, riuniti in un agglomerato urbano, Patrimonio Mondiale dell’Umanità, decretando l’inserimento della città nella  WORLD HERITAGE LIST, con le  seguenti motivazioni: “Eccezionale tipologia, continuità abitativa, sopravvivenza di una cultura costruttiva di origine preistorica …”

Il territorio alberobellese, ha una modesta estensione appena 4.031 ettari.

L’azione delle acque ha scavato, ricostruito e demolito forme carsiche superficiali e sotterranee ( inghiottitoi, caverne, grotte, ). Le cause di tali fenomeni  sono da attribuire alla natura  del suolo calcareo, reso solubile dalle acque carbonicate.

La parola  trullo deriva  dal greco “ torùllos “che significa cupola.

La cittadina di Alberobello, si trova al centro dell’area murgiana  del Sud-Est barese a pochi chilometri dal mare e a poche decine di chilometri dal Salento e dal Gargano.

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